martedì 19 novembre 2013

Si è sentito parlare molto in TV e sui giornali a proposito di piante geneticamente modificate e del loro legame con le lobby agricole. È interessante parlare, però, anche di una storia che forse non tutti sanno. 
Nel 1992 nella regione di Puna nelle Hawaii si diffuse un'epidemia che in breve tempo devastò la coltivazione della papaya. Le Hawaii sono uno dei più importanti produttori di questo frutto, e la sua coltivazione è un tassello fondamentale nell'economia del paese. La produzione fu ridotta dalle 26000 tonnellate annue alle 12000 in pochi anni. Il responsabile della devastazione dei raccolti era il   Papaya Ringspot virus (PRSV). Contemporaneamente, alcuni ricercatori dell’Università delle Hawaii e di Cornell, in collaborazione con Dennis Gonsalves, responsabile del settore Ricerca del Ministero dell’Agricoltura degli Stati Uniti, cominciarono a lavorare su un progetto per generare e selezionare piante di papaya resistenti al virus. 

Lo studio si basava sull'inserimento nel genoma delle piante del gene che codifica per una proteina del capside (involucro esterno) del microrganismo. Si era infatti visto che la sovraespressione di questo gene nelle piante impediva la replicazione del patogeno. La prima pianta resistente al PRSV fu selezionata già nel 1992 ma si dovettero aspettare sette anni per l'autorizzazione da parte dell’EPA (l’Agenzia per la Protezione dell’Ambiente), dell’FDA (Food and Drug Administration) e del  Ministero dell’Agricoltura  alla commercializzazione dei semi delle piante OGM. Nel 1998 iniziò la distribuzione gratuita dei semi per i contadini di Puna che ne facevano richiesta. Nel 1999 cominciarono i primi raccolti di papaya OGM, che incontrò i favori dei consumatori. Nel 2001 la produzione di Papaya era risalita a 23.000 tonnellate. L’industria della Papaya, coltura tipica delle Hawaii era stata salvata dalla distruzione. Inoltre la coltivazione della papaya resistente ridusse l'epidemia anche nelle piante non OGM. La papaya OGM è ora venduta sia negli Stati Uniti che Canada mentre l'Europa accetta solo la varietà non OGM. 

Questa storia è un esempio di come ogni nuova tecnologia e scoperta può fare del bene se viene impiegata con sapienza e rispetto dell'ambiente. Anche in Italia, una apertura alle biotecnologie potrebbe sviluppare ambiti di ricerca per la tutela delle specie agricole IGP  e di tutti quei prodotti ortofrutticoli che hanno reso il nostro paese famoso ed esportatore in tutto il mondo. Un primo caso di applicazione di tale tutela potrebbe essere il pomodoro della varietà San Marzano, ormai scomparso dai nostri mercati a causa di un epidemia simile a quella delle Hawaii. Questa volta il colpevole è un altro virus :il CMV (Virus del Mosaico del Cetriolo). Esperimenti in laboratorio hanno già dato esiti positivi ma attualmente la coltivazione in serra è proibita dalla legge italiana e dalle normative europee.

                                                                                                                                     Augusto Piazza

2 Responses so far.

  1. Anonimo says:

    beh, e chi ti dice che non sia stata la stessa Monsanto a creare il batterio che danneggiò l'intera piantagione? Io sono personalmente contro la diffusione e l'utilizzo di OGM, soprattutto perchè non sono state mai fatte ricerche ufficiali sugli effetti che questi prodotti possono avere sull'uomo nel breve e lungo periodo. Per il resto è oramai assodato quanto sia impossibile controllare la contaminazione ambientale che i semi stessi, riproducendosi, provocano. Invece di RIPARARE al devasto Hawaiano, si sarebbe dovuto adottare un approccio preventivo alla diffusione del batterio killer...prima cosa: abbandonare la monocoltura basata sull'esportazione.

  2. Anonimo says:

    e comunque non è vietato coltivare OGM ma è necessario munirsi di autorizzazioni.L'OGM non è a "favore dei consumatori" ma a favore elle multinazionali...per non dire... LA multinazionale!

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