giovedì 21 novembre 2013

Le cattive notizie, si sa, corrono veloci. Giungono ben presto nelle redazioni dei giornali e, in men che non si dica, eccole sbattute sui quotidiani. Online o carta stampata, non importa. Quel che importa è attirare l’attenzione dei lettori colpendoli nella loro emotività. Se si considerano poi social network come Facebook o Twitter, le notizie – quelle belle, ma soprattutto quelle brutte –  si diffondono quasi “in diretta”.
Omicidi, suicidi, rapine, drammi familiari, calamità naturali, attentati, stragi, ecc. E le reazioni di chi legge sono le più disparate: sdegno, ribrezzo, collera, nausea. Sì, nausea: perché molti sono davvero stufi di questo tipo di notizie. Oggigiorno si è così tanto bombardati da fatti di cronaca che sembra che nel mondo non accada altro. La realtà invece è un’altra: stando ai dati sulla criminalità, almeno in Italia questa sembra essere diminuita negli ultimi 20 anni.
Come mai, allora, si ha la percezione di una realtà completamente diversa? Di una realtà in cui il nostro prossimo è pronto in qualsiasi momento a farci del male? Abbracciando un’idea di Umberto Eco messa nero su bianco in un articolo de “L’Espresso” di pochi anni fa, potremmo rispondere che i giornali oggi si trovano a dover riempire una media di 60 pagine al giorno e dunque a dover “sbattere il mostro” non soltanto in prima pagina – come Bellocchio intitolava il suo film del ’72 – ma anche in seconda, terza, e così via. Il risultato è quello di parlare dello stesso evento in più articoli nello stesso giorno, con la speranza, anche grazie alla pubblicità, di sopravvivere.
E, tanto per non farci mancare nulla, a tutto ciò si aggiungano anche talk show e trasmissioni televisive interamente dedicati a casi di cronaca nera e la loro tipica smodata ricerca del particolare scabroso, del macabro. Ecco allora che, più che approfondire, in questo caso si specula sulle disgrazie altrui.
Insomma, con la dovuta moderazione e con le giuste finalità, informare i cittadini su quello che di brutto accade attorno a noi è giusto. Non a caso, infatti, l’inchiesta giornalistica resta la forma più nobile di giornalismo. Ma questa è un’altra storia.


Simone Rinaldi

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