martedì 3 dicembre 2013

Accumulatore seriale, qualcosa che è entrato prepotentemente nel vocabolario comune grazie (senza meraviglia) ad un programma televisivo; “Sepolti in casa”, un docu-reality trasmesso da Real Time nel quale si trattano storie di persone che accumulano qualsiasi tipo di oggetto, al punto da esserne sommersi.

Il termine esatto è disposofobia (dall'inglese to dispose, buttare via) e consiste nel raccogliere oggetti, spesso inutili, insieme all'incapacità di disfarsene. L'accumulo può avere spiegazioni diverse: la persona può considerare un oggetto di poco valore estremamente prezioso, ignorare la presenza di tali oggetti, riconoscerli come inutili ma non riuscire a liberarsene o, come accade spesso, dargli un valore affettivo per compensare il loro poco valore materiale.
Inevitabilmente la roba immagazzinata aumenta sempre di più, occupando gli spazi vitali e portando conseguenze preoccupanti: le normali attività quotidiane (pulire, lavarsi, cucinare, dormire) diventano sempre più difficili, fino ad arrivare a situazioni limite in cui l'ambiente abitativo è estremamente insalubre e pericoloso, mettendo a rischio l'incolumità degli abitanti.
Un aspetto che va a pari passo con l'aggravarsi della situazione è il deterioramento della vita sociale e lavorativa a cui le persone affette da tale patologia vanno incontro, il che rende difficile un eventuale aiuto, anche conseguentemente alle difficoltà che hanno i disposofobici a riconoscere la malattia e a farsi aiutare.
Le ricerche non hanno ancora chiarito se questa è un disturbo vero e proprio o è correlata ad altre patologie, non esiste ancora una definizione ufficiale, tant'è che nemmeno nel DSM (il manuale dei disturbi psichiatrici) vi si fa riferimento; alcuni punti in comune con il disturbo ossessivo-compulsivo ne fanno supporre un legame, ma è ancora tutto da verificare poiché chi soffre di accumulo compulsivo non risponde agli stessi farmaci. Di conseguenza anche la terapia è difficile poiché non si sa precisamente in quale campo agire ed in che modo.


Insomma, la tv non fa sempre male. Spogliata della sua tendenza alla finzione e all'esagerazione, a volte può essere utile a dare visibilità a problemi meno noti e che hanno bisogno di maggiori approfondimenti, o a sensibilizzare l'opinione pubblica su tematiche tenute “sepolte”, come è solitamente il disagio psicologico, e fargli capire chi sono in realtà quelli che definisce “pazzi”. 

Matteo Cardinale

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