Archive for 2013-12-22

Trent'anni fa il primo cinepanettone

Amato o odiato torna anche quest'anno il cinepanettone. Uno scorcio d'Italia e dell'italiano medio dipinto a tratti frenetici e di immediata accessibilità. Il popolo rivede se stesso sullo schermo del cinema ma con ogni difetto e pregio ingigantito al massimo come in una caricatura. Simbolo del cinema volgare , per alcuni privo di veri contenuti , prodotto con budget minimo e che ha come fine principale quello di attrarre la fetta più ampia del pubblico e raggiungere gli incassi più alti; lontano dal cinema d'autore o il cinema hollywoodiano che ha contenuti per le menti più elevate e prezzi di produzione alle stelle. Che lo vogliate o no il cinepanettone compie 30 anni.



Era infatti il lontano Natale del 1983 quello che ha visto nelle sale cinematografiche il capostipite Vacanze di Natale diretto da Carlo Vanzina insieme al fratello Enrico. Inaspettato arriva anche un saggio di uno studioso inglese dell’università di Leeds Alan O’Leary, The Phenomenology of the cinepanettone edito anche in Italia con il titolo, Fenomenologia del Cinepanettone, in libreria da pochi giorni per Rubbettino. Lo studioso con approccio strutturalista descrive un genere in cui gli ingredienti sono molteplici: “I film si svolgono in località da sogno, e quasi tutti hanno titoli composti dalla formula Natale+preposizione+località, anche se l’aspetto natalizio è più spesso lasciato sottinteso, tanto che la maggior parte dei film mostra chiaramente di essere stata girata durante l’estate o a inizio autunno”.


 La trama presenta elementi standardizzati: Caratteristica tipica del cinepanettone del nuovo secolo è la trama costruita su storie parallele, con protagonisti Massimo Boldi e Christian De Sica”, fino al penoso divorzio. “Spesso i momenti più spassosi dei film sono quelli in cui i personaggi di Boldi e De Sica finalmente si incontrano; di solito questo avviene in uno spazio ristretto, come in bagno, in uno spogliatoio o in una doccia. O' Leary fa anche una lettura metaforica del corpo di Boldi , per cui il comico lombardo impersona perfettamente il topos del corpo carnevalesco di Mikhail Bakhtin, secondo cui “L’accento è messo su quelle parti del corpo in cui esso è aperto al mondo esterno, in cui cioè il mondo penetra nel corpo o ne sporge, oppure in cui il corpo sporge sul mondo, quindi sugli orifizi, sulle protuberanze, su tutte le ramificazioni ed escrescenze: bocca spalancata, organi genitali, seno, fallo, grosso ventre, naso”.





 È uno spettacolo in cui ogni spettatore ha la sua parte, e ogni target di pubblico ha la “sua” battuta e il suo rappresentante sullo schermo: ci sono gli arricchiti, c’è il nobile decaduto, c’è sempre una varietà di dialetti molto marcati, almeno un napoletano e un toscano : Calibrato per rivolgersi a gruppi diversi, in modo che (in teoria almeno) ogni parte del pubblico abbia in sequenza la risata assicurata, contagiando così il resto del pubblico e trasformando la risata in universale e continua. La presenza di molteplici destinatari mette in difficoltà la valutazione critica, in quanto i criteri che si usano non sono spesso e volentieri adatti, perché basati su un’idea di testo come oggetto unitario e coerente, mentre il cinepanettone è una forma centrifuga pensata per attirare l’attenzione incostante dei suoi diversi tipi di spettatori”. C'è anche chi fa una lettura politica del cinepanettone: Curzio Maltese scrive: Il crollo di incassi del cinepanettone di Natale [...] è forse il primo e più clamoroso segno della fine dell’epoca berlusconiana. Il cinepanettone sta al ventennio berlusconiano così come i «telefoni bianchi» stanno al ventennio fascista. [...] Le anomalie, politica e cinematografica, hanno viaggiato in parallelo dall’inizio degli anni ’90 fino a ieri, per crollare di schianto insieme”. Esce ora nelle sale il nuovo rappresentante del genere Colpi di fortuna diretto da Neri Parenti, a voi la scelta. Comunque sia il cinepanettone si è inserito ormai nella teca del cinema italiano, anche se magari nella mensola più bassa.

                                                                                                                                           AP

La "Brigata Scodinzolante"

Ogni Natale che si rispetti porta con sé una novità, quasi a dire “uguali si, ma non nel dettaglio”. Questa’anno è la volta della “Wag Brigade” (letteralmente “brigata scodinzolante”) che ha conquistato tutto il mondo dall’aeroporto di San Francisco. Si tratta di una vera e propria comitiva a quattro zampe che, a partire dall’ inizio del mese corrente e per tutta la durata delle feste, è stata reclutata per conquistare le attenzioni dei passeggeri e far sì che volino con più pacatezza, contrastandone l’ansia del volo e le possibili tensioni che possono nascere durante le lunghe ed estenuanti file per il check-in. Le pelose reclute, armate di “dolcezza”, indossano un gilet grigio con scritto “accarezzami”, con accanto una targhetta da cui si intuisce l’appartenenza alla “Wag Brigade”. Lo scopo è quello di far distendere i nervi del passeggero attraverso la bellezza di un cane docile, ma soprattutto amichevole.

I “portatori sani di tranquillità”sono stati addestrati dal servizio della protezione per gli animali di San Francisco ed hanno già molta esperienza nell’agire come “pet-doctors” in un’ innovativa, ma non di certo la prima, “Pet-therapy”; prima dell’aeroporto di San Francisco hanno assistito persone negli ospedali, nelle scuole e in alcuni casi anche in qualche casa privata. La “Wag Brigade” può contare su otto elementi: da Toby, un Goldendoodle di 3 anni, a Donner, un labrador nero. “Andare all’aeroporto è come trascorrere un giorno alla spa. Riceve tutte le attenzioni. Tutti lo accarezzano, è perfetto per lui.”, queste le parole del proprietario di Toby, Shari Marks. 

Per “pet therapy” si intende una terapia basata sull’interazione uomo-animale. Fu lo psichiatra infantile Boris Levinson nel lontano, ma non troppo, 1960 ad enunciare per la prima volta le sue teorie sui benefici della compagnia degli animali associati a vari tipi di pazienti, affetti da altrettante patologie. Solo vent’anni più tardi è stata fondata negli Stati Uniti la “Delta Society”, che si occupa di studiare gli effetti terapeutici legati alla compagnia degli animali. 

In un periodo in cui si legge sempre più spesso di cani che mordono e, a volte, uccidono i propri padroni, queste storie sono di quelle che “fanno bene al cuore”. Insegnano a chi le ascolta un qualcosa che è sempre più raro sentire: sottolineano l’importanza di credere ancora nell’amore “non parlato”, ma non per questo più superfluo, che solo un animale può donare.

Quando un cane vede il suo padrone, il suo cervello rilascia le stesse sostanze del nostro quando siamo innamorati. 

Buon volo, ma soprattutto buon Natale.

Marco Harmina


La redazione di Punto&Virgola vi augura un felice Natale!


Un ringraziamento speciale al nostro designer Michele Visconti per la realizzazione dell'immagine.
martedì 24 dicembre 2013

Huntsville Unit: il “tritacarne” d’America

"Occhio per occhio, dente per dente”. In vigore probabilmente fin dai tempi dei babilonesi, la legge del taglione consiste nella facoltà della persona offesa di infliggere all'offensore, una pena uguale a quella ricevuta. Il tutto con il fine, almeno al tempo dei romani, di regolare le vendette private. Ma cosa accadrebbe oggi se dopo piú di 2700 anni, queste vendette, anzichè essere commesse dai privati, venissero commesse dallo Stato? 

Oggi tagliare gli arti ad un ladro, rientrerebbe piuttosto pacificamente tra i divieti di tortura e di pene inumane, sanciti dal diritto internazionale, con grande proliferazione di convenzioni e tutele dei diritti civili, volte a proteggere sotto ogni aspetto la dignità umana. Ma quando si tratta di omicidio in realtà non vi è proprio unanimità. Uccidere una persona costituisce omicidio, chiunque sia il colpevole. Eppure ancora oggi vi sono dei Paesi in cui è in vigore la pena capitale, tu uccidi io ti uccido, occhio per occhio dente per dente. Puó lo Stato arrogarsi tale diritto? In particolare c'è un posto, in cui non solo lo Stato decide sulla vita delle persone, ma le priva totalmente della loro dignità: Wynne unit prison di Huntsville, Texas. Il "tritacarne ", il braccio della morte piú duro degli Stati Uniti, una prigione che opera al di fuori della legge statale, federale e internazonale. I detenuti vengono rinchiusi in minuscole celle di cemento (un metro per tre), dove le temperature variano dai 40 gradi estivi ai -2 invernali. I rapporti interpersonali divengono inesistenti, le guardie carcerarie covano odio ed usano qualsiasi mezzo per rendere il tutto un inferno. Ai detenuti é solo concessa mezz' ora di passeggiata, all'interno di una gabbia di 30 metri quadrati, indossando solo slip. La condizione di questi soggetti, costituisce una delle piú grandi violazioni della Convenzione Internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, convenzione ratificata nel '99 dagli Stati Uniti senza riserve. Ma tutte le azioni legali intentate per contestare la crudeltà di tali condizioni ricevono una risposta :"Hanno ció che si meritano". Proprio il Texas, non a caso, detiene il primato per il maggior numero di esecuzioni avvenute dal 1976, quando la pena capitale è stata reintrodotta, con uno stacco di 400 esecuzioni rispetto alla Virginia, che segue. Attualmente il metodo esecutivo utilizzato è l'iniezione legale composta da tre sostanze, una per addormentare, una per fermare il cuore ed una per il collasso dei polmoni. Il condannato viene legato ad un lettino dal quale ha la possibilità di fare la sua ultima dichiarazione, al fine della quale la guardia, con un semplice gesto, invita il boia a procedere con l’esecuzione. Quest'ultimo non deve essere identificato. Possono assistere all'esecuzione, cinque testimoni richiesti dal condannato e cinque testimoni, famigliari o amici stretti, della vittima. 

"É stato giustiziato qualche innocente? Probabilmente si. Chi si aspetta la perfezione chiede l'impossibile". Questa è l’incredibile confessione di Jim Willett ex direttore del carcere di Huntsville, che nel suo libro "Il viaggio di un direttore penitenziario" si dichiara pentito, affermando, non da pubblico ufficiale ma da uomo, di aver conosciuto la tristezza di questo sistema. Willett rivolge un monito alla giustizia Americana: "Mi sembra che le esecuzioni creino nuove vittime, le famiglie dei giustiziati. Mi sono sempre interrogato sulle madri che vedevano morire i loro figli. Alcune di loro urlavano e piangevano, un suono che non sentirai mai da nessun'altra parte, un suono orribile che ti accompagnerà ovunque". Tra i 499 detenuti nel Texas, rientrano persone che soffrono di gravi malattie mentali o affette da disabilità, giovani minorenni al momento del reato e imputati difesi in modo non adeguato, in giudizi dove, la componente razziale svolge un ruolo chiave, portando a conclusioni con condanne a morte anche senza la presenza di prove inconfutabili. É abbastanza palese quindi che la perfezione della giustizia, in qualsiasi sistema rimane un'utopia. Ora sta a noi riflettere, è veramente questo il modo giusto per punire?

L&S

Lettera a me stesso. Impegno, parole e la retorica del fare.

Lettera a… me stesso. Nel periodo della posta a Babbo Natale (si vendono anche autentiche risposte da parte del rosso nonnino) sento di doverne scrivere una a me stesso. Chiamatela presa di coscienza, chiamateli buoni propositi per l'anno nuovo, chiamatela come volete. Ma è il frutto di una realtà che vivete. Sono come voi. Studio, esco con gli amici e fumo. Ho sofferto per amore, ho lavorato e sono stato sfruttato, ho vissuto e vivo nelle mie contraddizioni. Sogno una vita migliore, un lavoro che mi piaccia e viaggiare. Retorica? Forse. Ma questa è la lettera che scriverei a me stesso in questo momento, in questo paese. Non credo che la vostra sarebbe molto diversa.

“Ciao Luca. A scriverti è quella sensazione amara che va dalla bocca allo stomaco ogni volta che alzo la testa dagli affari miei. Vedo una generazione silenziosa, passiva e disinteressata in cui riesco a immedesimarti. Parlano molto dei giovani, e molto poco con loro. Ma tu cosa diresti? Una generazione a cui hanno rubato il presente oltre che il futuro e che fa finta che non sia successo per comodità. Nessuna reazione. Una generazione a cui si chiede di scusarsi quelle volte in cui prova ad alzare la voce, e che lo fa. Nel paese delle contraddizioni, delle ingiustizie quotidiane e degli abusi di posizione regna il silenzio, vince chi asseconda. Regna l'arte di accontentarsi, di riabbassare la testa e tornare ai propri affari. E la colpa è la tua. Non c'è messaggio politico che possa cogliere questa insoddisfazione perché non esiste questa insoddisfazione. Esiste il lamento di chi non vede il cucchiaino per essere imboccato, abbiamo quello che ci meritiamo. Esistono l'impegno di pochi, le parole di molti e la retorica del "fare". Qualsiasi parola quando si parla di azione è retorica. Ti invio questa lettera che si aggiunge con coerenza al contesto; è un avviso, o solo un promemoria per il presente e per il futuro. Ricordati di sognare, ricordati di ribellarti, ricordati di non aspettare domani quello che é tuo già oggi. Serviranno più impegno e meno parole. Servirà lottare e servirà una rivoluzione, ma culturale. E tutto dovrà partire da te, dalla tua persona, dal tuo modo di essere, non di avere. Ricordati che dovrai combattere te stesso, perché il problema, come la soluzione, è dentro di te. L'ambiente in cui vivi deve essere un tuo prodotto, non tu il suo. Ricordati che questa lettera te la scrivo perché quell'amaro in bocca io lo sento forte, così tanto da non riuscire a riabbassare la testa di nuovo. Non lasciare che sia uno sfogo.”

Certo del tuo impegno, fiducioso delle tue parole. Fai. Buone feste. A tutti.Luca

Luca Michele Piscitelli


domenica 22 dicembre 2013

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