sabato 7 dicembre 2013

Teorie del complotto a parte, che cosa abbiamo perso quel 22 novembre ’63? Parliamo di storia degli Stati Uniti e in particolare di una storia che dopo 50 anni ancora non conosce la parola fine. O meglio, ancora non conosce la parola “verità”. Ci riferiamo all’assassinio di John Fitzgerald Kennedy, 35° Presidente degli Stati Uniti, ucciso a Dallas (Texas) il 22 novembre 1963. Nel 2013 ricorre il cinquantesimo anniversario da quel drammatico giorno e per l’occasione tutti si sono cimentati in discussioni e dibattiti incentrati sull’evento. Tutti molto contenti di poter mandare in onda programmi televisivi forniti di filmati inediti, ricostruzioni 3D e plastici in rilievo per ricostruire quanto accaduto quel giorno a Dallas. Per non parlare di quasi tutta la cinematografia esistente sulla vicenda che è stata mandata in onda dalle nostre tv in soli 2-3 giorni; e va precisato che i film su Kennedy sono davvero molti.

L’interesse che è esploso per la vicenda dell’uccisione di J.F.K. è stato a dir poco altissimo. Ed è anche entusiasmante vedere che la storia (intesa in senso lato, come scienza sociale), interessa così tante persone. Conoscere gli eventi passati è utile per sapere da dove veniamo. Non è una frase di convenzione che si dice tanto per dare un senso a queste righe. Conoscere gli avvenimenti passati è veramente utile oggi perché ci fa riflettere in merito a quanto abbiamo fatto noi (come umanità) in passato. Sia che si tratti di grandi imprese positive come il coraggio di quei tedeschi che il 9 novembre 1989 abbatterono un muro che divideva in due non una città o un paese ma il mondo stesso; o che si tratti di imprese meno gloriose come il lancio delle due bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki nell’agosto 1945 per porre fine alla Seconda guerra mondiale. Avvenimento, quest’ultimo, che dava l’inizio a quella cosiddetta “Guerra Fredda” tra USA e URSS che finirà proprio con la caduta di quel muro berlinese. 

Comunque, l’uccisione di Kennedy oggi appare come un “grande mistero” della storia dell’umanità perché nonostante l’assassino, Lee Harvey Oswald, sia poi stato arrestato (e a sua volta ucciso da Jack Ruby, proprietario di un night club di Dallas noto per i legami con la mafia), ogni persona sulla faccia della terra ha la sensazione che questa non sia la realtà. Le teorie complottiste sulla morte di JFK sono fin troppe; quelle che parlano di cospirazioni della mafia, della CIA e dell’FBI, dei sudisti o dell’industria militare o dello stesso Johnson, che succedette a Kennedy. Sono talmente tante che si capisce che la verità difficilmente riuscirà a venire fuori. La verità assoluta non esiste. O meglio, esiste, ma non potendola mai raggiungere è come se essa fosse in sostanza qualcosa di inesistente. Nel 2017 molti dei documenti secretati dalla CIA saranno declassificati e resi pubblici e sicuramente si avranno nuovi dettagli sulla vicenda. Ma a cosa serve immergersi in teorie complottiste ora, se poi alla fine la verità rimane nascosta e, purtroppo, irraggiungibile? I complottisti sono soliti dire che “dobbiamo pensare con le nostre menti” e non credere a quello che ci dicono. Ebbene, coloro che credono alle teorie dei complottisti sono proprio coloro che non pensano con le proprie menti e che assorbono con estrema passività tutto quello che gli viene detto in merito ad una vicenda, purché non sia la versione ufficiale fornita “dall’alto”. Non stiamo dicendo che la teoria di Oswald come unico colpevole sia da prendere per vera, anzi, crediamo che sicuramente vi siano fin troppe zone d’ombra che ci inducono a pensare che la morte di Kennedy era voluta anche da qualcuno “più grande” di un semplice pazzo solitario. Appare inoltre strano che il Presidente statunitense possa essere ucciso per strada senza che tutte le forze di sicurezza che sono solite scortarlo non riescano ad evitare una tale strage. Ma in fin dei conti non possiamo spremere le nostre fantasie all’estremo e dobbiamo adeguarci a quante fonti abbiamo a disposizione oggi. Quello che possiamo intanto fare sono delle valutazioni e delle analisi e cercare di capire come sarebbe oggi il mondo se JFK non fosse stato ucciso nel ’63 e avesse avuto la possibilità di essere eletto per un secondo mandato. Se veramente Kennedy voleva bloccare la guerra del Vietnam prima della sua escalation, se le sue politiche di integrazione fossero andate avanti e la segregazione razziale fosse finita negli Stati Uniti proprio durante gli anni di JFK, il mondo sarebbe lo stesso oggi? Sicuramente no. La guerra del Vietnam durò 15 anni e gli strascichi si ebbero anche più a lungo. Negli Stati Uniti il movimento per i diritti civili lottò fino alla fine degli anni ’70 con vigore e i primi veri risultati positivi si ebbero dopo parecchio tempo. Insomma, quello che oggi possiamo fare è semplicemente chiederci, con raziocinio e con molta cautela, quale opportunità il mondo ha perso quando il 22 novembre 1963, semplicemente “qualcuno” uccise Kennedy. 

Maged Srour

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