giovedì 28 novembre 2013

Era il 2000: a 477 km dalla poltrona dello Shrine Auditorium da cui Kevin Spacey si sarebbe alzato il 26 marzo per ricevere il suo secondo premio Oscar, nel quartier generale di Netflix si apprendeva la notizia che Blockbuster Llc rifiutava l'acquisto della loro giovane compagnia per 50 milioni di dollari. Tredici anni dopo, con una capitalizzazione azionaria di 21 miliardi di dollari, nella stessa sede di Los Gatos, California, ci si può godere con soddisfazione la notizia della chiusura degli ultimi 300 negozi Blockbuster negli Stati Uniti. 

«É così che si divora una balena, Doug: un morso alla volta». E dire che tutto è iniziato a causa di una penale di 40 dollari per aver consegnato in ritardo una copia di "Apollo 13". Il colpevole, Reed Hastings, pensò bene che con la stessa somma avrebbe potuto iscriversi in palestra e andarci quando voleva. E quanto voleva. Da qui alla nascita di Netflix il passo fu breve: bastava una sottoscrizione mensile e il cliente poteva noleggiare tutti ciò che voleva, al di sotto di un limite dettato dal tipo di abbonamento, e per tutto il tempo che desiderava. Niente di clamoroso, ma funzionò. La svolta, però, fu un'altra: lo streaming. Oltre alla possibilità di noleggiare contenuti via posta, infatti, i sottoscrittori di Netflix potevano decidere di godersi i film che un algoritmo gli consigliava direttamente online. E nel 2008 l'offerta a disposizione si allargò ulteriormente tramite un accordo con Starz Entertainment che metteva a disposizione più di 2,500 titoli. L'esperienza si rivelò così gratificante da convincere Netflix a firmare nel 2010 un accordo quinquennale da un miliardo di dollari col canale satellitare EPIX, che assicurava diritti di anteprima per i film targati Paramount Pictures, MGM e Lions Gate Entertainment. Per capirci meglio, dall'agosto di quest'anno chi in Gran Bretagna avesse voluto seguire l'ultima stagione di Breaking Bad, avrebbe potuto farlo il giorno dopo la messa in onda statunitense solo, manco a dirlo, su Netflix. 

Ed è qui che torna in gioco il celebrato Spacey: attore pluripremiato, direttore di uno degli storici teatri di Londra, l'Old Vic, vera e propria icona mondiale. E anche Frank Underwood, il politico calcolatore, vendicativo e piuttosto retorico protagonista di House of Cards. Che non è una serie tv qualunque: non solo perché i 13 episodi della prima stagione sono costati in tutto 100 milioni di dollari; non perché è stata girata da David Fincher, lo stesso di The Social Network e Fight Club; e nemmeno perché somiglia ad una versione molto più controversa e decisamente attuale di quel capolavoro che è West Wing; ma perché è stata ordinata e prodotta interamente da un sito internet, Netflix. E perché è stata rilasciata tutta in un'unica soluzione il 1° febbraio 2013. É il concetto della palestra, ancora una volta: quando vuoi, come vuoi. Non è un caso se la metà del traffico internet negli Stati Uniti nell'ultimo anno è catturata da due soli siti internet: YouTube e Netflix. E nemmeno che, nello stesso mercato, il traffico online di BitTorrent è calato del 20% (dati tratti dal rapporto di Sandvine). Dopo Blockbuster, altre due balene potrebbero finire divorate da Netflix e dai suoi simili: la televisione e la pirateria. E stavolta con l'aiuto di Kevin Spacey. Che ha appena regalato una sottoscrizione al suo nuovo sito internet preferito a Woody Allen. Potremmo vederne delle belle.

Vincenzo Terracciano

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