venerdì 4 aprile 2014

"Considera che costui, che tu chiami tuo schiavo, è nato dallo stesso seme, gode dello stesso cielo, respira, vive, muore come te! Tu puoi vederlo libero, come lui può vederti schiavo.È uno schiavo. Ma forse è libero nell'animo. È uno schiavo. E questo lo danneggerà? Mostrami chi non lo è: c'è chi è schiavo della lussuria, chi dell'avidità, chi dell'ambizione, tutti sono schiavi della speranza, tutti della paura.” Seneca, epistola 47 (circa 2014 anni fa)

Ti sei mai posto questa domanda? Quanti schiavi lavorano per te? Nel mondo ci sono 30 milioni di persone che lavorano in condizioni di schiavitù, non bisogna nemmeno andare lontano, pensare al paese più povero dell'Africa basta infatti pensare ai campi di pomodori o altri prodotti agricoli del sud/ nord Italia presenti nella filiera delle multinazionali alimentari. Ai vari tipi di schiavitù elencati da Seneca si può aggiungere un nuovo tipo di schiavitù : la schiavitù del consumismo, consumata nei sempre più numerosi mega centri commerciali. Se ancora non sai rispondere alla domanda iniziale o pensi che sia una domanda ridicola nel 2014, puoi trovare una risposta su questo sito: Slaveryfootprint.org .

Il sito è stato lanciato nel 2011 dall'organizzazione non-profit omonima di James Dillon insieme al Dipartimento di Stato americano contro la schiavitù, ed è stato usato nel 2013 da quasi due milioni di persone. Attraverso un test composto da 11 step , molto ben strutturato graficamente, il sito aiuta ad effettuare questo calcolo. Si inserisce la città di provenienza, il tipo di casa in cui si abita solitamente e poi tutti gli oggetti che caratterizzano la vita quotidiana. Tutti i dati inseriti vengono sommati per dare il risultato finale. Il sito spiega anche in che modo viene calcolato questo risultato: viene fatta un' analisi dell’utilizzo medio del lavoro forzato in più di 400 prodotti delle marche più famose, un algoritmo stabilisce poi il numero minimo di schiavi costretti a produrli. Il sito poi sottolinea quante persone sono schiavizzate dalla prostituzione e dalla droga, anche le nostre abitudini che teniamo nascoste sono figlie della schiavitù. Nella pagina del risultato finale leggiamo che il sito ci vorrebbe fornire il nome dei marchi sicuri, quelli che sicuramente non utilizzano la schiavitù per produrre i loro prodotti, ma ancora non possono perchè la lotta contro la schiavitù non è una priorità nell'attuale sistema economico. Per approfondire ulteriori aspetti della schiavitù ai giorni nostri si può visitare questa pagina nel blog Made in a free world padre del sondaggio. Leggendo l'etichetta della prossima t-shirt che acquisterai avrai uno spunto in più per riflettere.


                                                                                                               
                                                                                                             Augusto Piazza

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