martedì 18 marzo 2014


In campo scientifico un problema importante dei nostri giorni è rappresentato dalla carenza di fondi provenienti dallo Stato. Con questo articolo voglio rendere omaggio a una donna che ha ispirato, ispira e ispirerà tutte quelle persone che, convinte delle proprie possibilità, non si lasciano intimorire dai problemi incontrati per la via.“Dico ai giovani: non pensate a voi stessi, pensate agli altri. Pensate al futuro che vi aspetta, pensate a quello che potete fare, e non temete niente. Non temete le difficoltà: io ne ho passate molte, e le ho attraversate senza paura, con totale indifferenza alla mia persona.”

Stiamo parlando proprio di Lei: Rita Levi Montalcini, che di problemi ne ha avuti fin da quando, nel 1930, decise di studiare Medicina contro il volere del padre, il quale intendeva questa scelta come un’interferenza al suo ruolo di donna. I problemi continuarono nel 1938, quando fu costretta a fuggire in Belgio, a causa delle leggi razziali (era ebrea, anche se in seguito si definì laica). Nel 1940, poi, in seguito all’invasione del Belgio, dovette tornare in Italia, a Torino, dove allestì il suo laboratorio nella stanza da letto. E ancora, nel 1941, in seguito al bombardamento della città, si trasferì in campagna, ricreando anche lì un mini-laboratorio. Nel 1943,però,l’invasione da parte dei tedeschi li costrinse nuovamente a fuggire, questa volta verso Firenze, dove cambiò spesso alloggio, sempre comunque ricreando spazi adatti alle sue ricerche. È proprio in questo clima che la Montalcini riuscì ad analizzare e, quindi, a descrivere, l’importante processo di morte di intere popolazioni di neuroni. I suoi risultati, però non vennero accettati in Italia, a causa dei pregiudizi razziali e Rita dovrà attendere fino al 1972, affinchè questo processo, definito come apoptosi, entri definitivamente nella cultura scientifica.

Dopo la guerra, ritornò a Torino, dove poté proseguire i suoi studi, comunque con laboratori allestiti in casa.
“Imagination is more important than knowledge”.Questa è la celebre frase di Einstein, dalla quale, forse, la Montalcini, prendeva spunto e che si ritrovava appesa alla parete del suo laboratorio, all’Istituto Superiore di Sanità, dove iniziò in seguito a lavorare, parallelamente alla carriera avviata anni prima negli Stati Uniti. Ed è forse ispirata da questa frase che la Montalcini si spinse oltre i dogmi del periodo, fino alla scoperta del fattore di crescita nervosa (NGF),che ha funzione di promuovere la crescita di cellule specifiche (definite cellule bersaglio), la loro maturazione e garantirne, poi, la sopravvivenza. Agli inizi degli anni ‘50, infatti, la scoperta di questo fattore, portò un avanzamento nelle conoscenze neurobiologiche di notevolissima importanza, con numerosi studi successivi, che hanno permesso di capire come questi fattori di crescita abbiano anche proprietà di guidare il percorso delle fibre nervose in accrescimento. Ed è proprio per il contributo notevole offerto dalla Montalcini, che, nel 1986,le fu assegnato il Premio Nobel per la Medicina, una delle tante onorificenze che hanno ripagato questa donna di tutto il lavoro effettuato negli anni, lavoro eccelso nonostante le difficoltà. «La scoperta del NGF all'inizio degli anni '50 è un esempio affascinante di come un osservatore acuto possa estrarre ipotesi valide da un apparente caos. In precedenza i neurobiologi non avevano idea di quali processi intervenissero nella corretta innervazione degli organi e tessuti dell'organismo»






K.M.

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