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- “El Empleo” : il cortometraggio animato, contro lo sfruttamento sociale
martedì 26 novembre 2013
El Empleo. Impiego, lavoro. Ma
anche impiego inteso come utilizzo, sfruttamento. E’ il titolo del cortometraggio
argentino vincitore nel 2011 del “Premio del Pubblico” al Festival di Berlino.
Una tematica, quella dello sfruttamento sociale, sempre in primo piano, attuale.
E’ trattata dall’autore Santiago Bou Grasso , senza mezzi termini, in modo
schietto, inequivocabile e immediato. In una dimensione ovattata, una sveglia animata,
gioiosa di scandire secondi, minuti e
ore che si ripetono implacabili ogni giorno, attira subito l’attenzione dello
spettatore. Appare, subito dopo, il protagonista, dallo sguardo vuoto, esanime,
come del resto gli altri personaggi che compaiono. Automi che si apprestano ad
occupare il tempo con azioni e mansioni cicliche; perfino con gioie cicliche:
attimi di felicità che passano inosservati, oscurati dall’appuntamento
successivo dell’orologio sociale. Inizia
una nuova giornata e probabilmente non offrirà niente di diverso da quella
appena trascorsa. Meglio fare luce nella stanza da letto, per spegnere il buio
dei pensieri, quelli di una notte insonne magari. Questa lampada umanizzata che
il protagonista accende dopo essersi svegliato, si rivelerà poi la chiave di
lettura dell’intero lavoro. E cosa succede se a farti da tavolo per la
colazione ci sono i tuoi figli? E se l’appendiabiti diventa tua moglie, che, prima del cambio
d’inquadratura, sbatte le palpebre quasi a ricordare di essere ancora una
persona? Non c’è niente di strano allora se, come taxi, ci si affida alle gambe
di un altro uomo e il verde del semaforo
è l’apertura di un impermeabile.
E forse
nemmeno se il contrappeso dell’ascensore dell’ufficio è un goloso seriale di
dolci. La riflessione vera e propria nasce quando arriva la mansione del protagonista. Lo
zerbino. Il compito è far pulire i piedi
a qualcun altro e per quanto il momento storico sia complicato, per quanto di
un lavoro non ci sia nemmeno l’ombra (o forse solo quella) e per quanto ci si
senta assuefatti da contratti ai limiti della decenza e da lavori occasionali, non
si può accettare passivamente tutto. Soprattutto se si deve addirittura
ringraziare, di avere l’opportunità di intraprendere la carriera di zerbino non
retribuita. Soprattutto se lo zerbino, mentre fa lo zerbino sdraiato
sapientemente a terra, ha il tempo di pensare alle giornate passate su degli oggetti misteriosi chiamati
libri, sulle sue aspettative, sulla fiducia riposta in un sogno. Se non si
presta attenzione, si diventa zerbini per la
vita, non solo per entrare nelle grazie di un superiore. Lo zerbino, se
non si alza da terra, non sarà sollevato da nessuno. Se non si guarda intorno e non capisce che se
per lui qualcuno è zerbino, lui lo è a sua volta per qualcun altro, non ci sarà
evoluzione. Un cortometraggio che chiama
in causa tutti, lasciando una sensazione di disarmante familiarità. E’ la
catena sociale? Il più forte che mangia il più debole? E’ veramente così come
prospettato da Grasso nel cortometraggio? Si è veramente “impiegati”(e non a tempo
indeterminato!) per gli scopi altrui senza rispetto e considerazione? E’ una
realtà arrivista di zerbini solitari ed egoisti che pensano, nonostante lo
sfruttamento, solo a se stessi? O di chi, spesso, con tutta la buona volontà non ha
l’opportunità di realizzarsi? El Empleo:
sfruttati o sfruttatori? E’ questo il bivio? Di certo una società “macchina”,
fatta di ingranaggi, che però sono persone che lavorano e producono senza
fermarsi mai, non è quello che rende un Paese civile. Un Paese civile deve
essere una macchina democratica, fonte di stimoli, passioni e aspettative per l’impegno dato e
non di alienazione, sconforto e sfruttamento. Fonte di meritocrazia, altruismo
e rispetto verso il prossimo. Principi base, per un vivere civile che non può
assolutamente permettersi un livellamento della personalità e della conoscenza.
D’accordo o no e nonostante
l’estremizzazione voluta, la chiave di lettura del corto, dopo i titoli di
coda, è un messaggio di rincuorante ribellione, ma anche di speranza. La
lampada umana che si stanca di essere lampada, decide di togliersi il cappello,
di gettare a terra il paraocchi e continuare, dopo il gesto di stizza, per il
suo cammino.
Giulia Ballini
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